Obblighi del Datore di Lavoro
Torniamo sulla vexata quaestio rappresentata dai principi di efficacia e adeguatezza della formazione.
L’argomento è stato più volte oggetto di prescrizioni in sede ispettiva e numerosissimi pronunciamenti anche in sede giurisdizionale.
In proposito segnaliamo, tra le tante, la sentenza della Cassazione Penale, Sez.IV, 7 dicembre 2018 n.54803, sul tema della sufficienza e adeguatezza della formazione da erogare al lavoratore e su quello – connesso e conseguente – della verifica dell’efficacia della stessa.
Nel caso di specie era stato accertato che “il lavoratore infortunato – assunto da poco tempo – era stato addetto alla pressa solo qualche giorno prima dell’infortunio;
egli aveva affermato di essere uno stampatore, ma non aveva alcuna competenza nello specifico settore, come appurato dai colleghi di lavoro;
la formazione impartitagli era stata dunque del tutto insufficiente, perché il corso generale sul funzionamento dei macchinari era durato solo quattro ore ed egli era stato avviato a lavorare da solo sul macchinario in questione dopo appena due giorni, senza una previa verifica pratica e in assenza di un vero e proprio affiancamento e di una concreta supervisione, come pure previsto dall’art.5.1 della procedura per la formazione del personale in vigore presso l’azienda.”
La condanna per lesioni colpose del datore di lavoro trova quindi il suo fondamento nel principio secondo cui “l’obbligo di formazione non si esaurisce nel passaggio di conoscenze teoriche e pratiche al dipendente, dovendo il soggetto obbligato verificare anche che esse siano divenute patrimonio acquisito in concreto, ciò che solo una effettiva prova pratica, sotto la supervisione di un tutor può garantire, rilevando che, nel caso di specie, la completa estraneità del lavoratore a quella specifica attività era constatabile da chiunque e spiegava ampiamente il comportamento scorretto tenuto dal predetto”.
La suprema Corte di Cassazione ricorda inoltre che l’obbligo di formazione “non è escluso, né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro, ciò che non è neppure accaduto nel caso all’esame.
Infatti, l’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge” (cfr. sez.4 n.21242 del 12/10/2014).
I sopra richiamati principi risultano altresì ribaditi dall’alto consesso in un’altra interessante pronuncia (Cassazione Penale, Sez. IV, 23 settembre 2014 n.38966), laddove si ribadisce che “una formazione adeguata raramente può prescindere dalla socializzazione delle esperienze professionali maturate da altri lavoratori; ma questa non può esaurire l’attività di formazione e va necessariamente inserita all’interno di un percorso di addestramento che, per garantire il raggiungimento degli obiettivi sostanziali e non la mera osservanza formale dei precetti, deve prevedere momenti di verifica dei risultati: insomma l’attività di formazione è necessariamente un’attività procedimentalizzata.”
È pertanto indubbio che per la giurisprudenza di legittimità la formazione è, senza se e senza ma, una “attività procedimentalizzata” anche con riferimento alla verifica dei risultati.
In proposito non mancano neppure i pronunciamenti in sede civile (cfr. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 18 maggio 2017 n.12561) per effetto dei quali è stato confermato che “se è vero che la effettiva formazione è costituita da una pluralità di momenti e da un insieme di obblighi che si integrano, rappresentando piuttosto un processo formativo; non è vero tuttavia che esista un modello di formazione domestica, fai da te, alternativa a quella prevista dalla legge nella sua scansione dinamica e funzionale.”
Ne discende che l’unica formazione adeguata e sufficiente è quella che si ispira a un “.modello di prevenzione ineludibile, che non è rimesso alla discrezionalità del datore; tanto più quando si tratta di formazione all’utilizzo di mezzi pericolosi […]; e che non può essere sostituito dall’addestramento con affiancamento sul campo: senz’altro utile ma non alternativo alla informazione o alla formazione; come peraltro riconosciuto, più volte dalla giurisprudenza (Cass. Pen. 20272/2006)”
Con riguardo al “processo formativo”, la Corte fa quindi un puntuale riferimento ad una “pluralità di momenti formativi” e sottolinea che “non può perciò bastare che il datore assolva in modo parziale, soltanto ad alcuni dei predetti obblighi, siccome egli è invece obbligato ad osservarli tutti e per intero, e nell’ordine logico e cronologico voluto dalla legge.”
Non pare pleonastico, in proposito, rammentare che l’art.37 c.1 del D.Lgs. 81/08 prevede che “il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche.” e al comma 13 che “il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.”
In conclusione ci pare utile richiamare, seppur in estrema sintesi, un’ultima pronuncia della Corte di Cassazione che, con la sentenza della , Sez.IV, 10 febbraio 2005 n.13251, ha statuito che “in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro è articolato, comprendendo, tra l’altro, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinati lavori, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, ma anche il controllo continuo, congruo ed effettivo, nel sorvegliare e quindi accertare che quelle misure vengano, in concreto, osservate, non pretermesse per contraria prassi disapplicativa, e, in tale contesto, che vengano concretamente utilizzati gli strumenti adeguati, in termini di sicurezza, al lavoro da svolgere, controllando anche le modalità concrete del processo di lavorazione.
Il datore di lavoro, quindi, non esaurisce il proprio compito nell’approntare i mezzi occorrenti all’attuazione delle misure di sicurezza e nel disporre che vengano usati, ma su di lui incombe anche l’obbligo di accertarsi che quelle misure vengano osservate e che quegli strumenti vengano utilizzati.”