Già alcuni mesi fa, quindi ben prima che le multinazionali farmaceutiche mettessero a punto i vaccini che conosciamo, AIFES ha fornito il proprio contributo ad un intenso ed articolato dibattito riguardo alla configurabilità di un obbligo di vaccinazione anti Covid19 da parte del lavoratore.
In quella circostanza, in breve, abbiamo anche sostenuto l’efficacia della “terza via”, rappresentata dalla cosiddetta “spinta gentile” con la quale lo Stato favorisce il comportamento desiderato (vaccinarsi per procurarsi il green pass), mentre rende più complesso, o meno vantaggioso, quello non desiderato.
In altre parole, parlavamo di una sorta di patentino vaccinale per: “ottenere o mantenere determinati tipi di impieghi o di mansioni, ad esempio nel settore sanitario; frequentare determinati eventi sportivi o culturali, ovvero palestre, cinema, teatri e altri luoghi di ritrovo; ottenere una riduzione nei tempi di accesso a prestazioni sanitarie (non salva vita) ecc.
Auspicavamo anche una chiara assunzione di responsabilità da parte dei pubblici poteri che, finalmente, è arrivata grazie al D.L. 127/2021 che, come noto, prevede che, dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre 2021, quasi 23 milioni di lavoratori, sia pubblici che privati, per accedere ai luoghi di lavoro dovranno avere la certificazione verde che attesta la vaccinazione, la guarigione dal Covid o un tampone negativo.
Al di là delle comprensibili incertezze interpretative del testo in questione ed in attesa di conoscere le linee guida del Governo “per la omogenea definizione delle modalità organizzative” delle verifiche, le questioni di maggior rilievo risultano già ben delineate.
Dal 15 ottobre 2021 il lavoratore che non possiede o non è in grado di esibire il Green pass, non potrà accedere al luogo di lavoro.
Sia nel settore pubblico che in quello privato tale condizione è considerata a tutti gli effetti assenza ingiustificata con la conseguente privazione della retribuzione e di qualsiasi altro emolumento connesso alla prestazione lavorativa.
Va ricordato, però, che il lavoratore sprovvisto di green pass non può essere sottoposto a procedimento disciplinare e mantiene il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro.
Diverso è il discorso per le imprese private con meno di 15 lavoratori. In questo caso, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore privo di green pass per la durata del contratto stipulato per la sostituzione, per un periodo comunque non superiore a 10 giorni, rinnovabile per una sola volta.
La violazione dell’obbligo di possedere il green pass all’atto di accedere in ufficio/azienda da parte del lavoratore è punita con una sanzione amministrativa da 600 a 1.500 euro.
Tenuto conto delle diverse modalità previste per ottenere il green pass, si rammenta che la validità dei test molecolari è stata estesa a 72 ore, mentre resta confermata a 48 ore quella dei test antigenici rapidi.
Per le persone esentate dalla vaccinazione, munite di idonea certificazione medica rilasciata da medici vaccinatori o di medicina generale, i test sono gratuiti. Per i lavoratori che non intendano vaccinarsi, il costo del tampone è a loro esclusivo carico.
Occhio ai green pass “falsificati”.
In questo caso il lavoratore che dovesse accedere al luogo di lavoro, oltre alla sanzione amministrativa e all’eventuale denuncia penale, è soggetto anche alle conseguenze disciplinari previste dai rispettivi ordinamenti o CCNL.
Al riguardo, tenuto conto della gravità del comportamento, pur in assenza di una specifica tipizzazione della condotta nell’ambito dei già menzionati ordinamenti o CCNL, è possibile ipotizzare l’adozione da parte del datore di lavoro, della massima sanzione prevista e cioè del licenziamento per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 del Codice civile.
Pur in assenza di indicazioni omogenee ed operative codificate dal Governo d’intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni, i datori di lavoro sono tenuti a:
- definire le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che tali controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro;
- individuare con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni degli obblighi.
La sanzione amministrativa per i datori di lavoro che non procedano ai controlli o che non saranno in grado di dimostrare di aver adottato idonei modelli organizzativi, così come previsto dal D.L. 127/2021, va da 400 a 1000 euro.
Per i lavoratori in smart working la Presidenza del Consiglio ha precisato che il lavoratore impegnato permanentemente in tale modalità non è tenuto a munirsi di green pass che, come noto, “serve per accedere ai luoghi di lavoro”.
In ogni caso, però, lo smart working “non potrà essere utilizzato allo scopo di eludere l’obbligo del green pass”.
Oramai manca solo una settimana per organizzarsi in vista dei controlli e, al riguardo, non possiamo che rimarcare la necessità che essi siano massivi (anche se il “decreto” prevede che possano essere anche a campione), giornalieri e condotti nel rispetto delle norme che tutelano la privacy dei lavoratori, pur comprendendo che tali adempimenti, previsti a “costo zero” per le pubbliche amministrazioni, determineranno un ineludibile costo per le aziende private.
Resta ancora indefinita la procedura che i datori di lavoro (soprattutto “privati”) o i loro incaricati di svolgere le verifiche sul possesso del green pass, dovranno seguire per segnalare al prefetto le violazioni commesse dai lavoratori, atteso che il decreto in parola si limita a disporre che: “I soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni (…) trasmettono al Prefetto gli atti relativi alla violazione”.
A questo punto, nel prendere atto che ad oggi, 7 ottobre 2021, non risultano ancora emanate le linee guida previste dal decreto 127/2021, AIFES auspica un definitivo e chiaro intervento interpretativo e attuativo da parte del Governo e, al contempo, un rush finale da parte di datori di lavoro, medici competenti, organizzazioni sindacali e professionali, rappresentanti dei lavoratori e stakeholder, per persuadere il maggior numero di lavoratori renitenti al vaccino a sottoporsi a tale indispensabile profilassi, superando incertezze e paure alimentate, seppur in parte, anche da una comunicazione “ufficiale” non sempre all’altezza del compito.