Partendo dal presupposto che ciascuno di noi fa e farà la differenza, le riflessioni che seguono saranno molto franche e dirette, senza fronzoli, giri di parole o circonlocuzioni ipocrite.
Per chi, come noi, ha nel proprio DNA una salda cultura della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, si tratta di un obbligo morale al quale non intendiamo venir meno poiché riteniamo che la complessità del momento e i suoi risvolti drammatici, ma non ancora esiziali, rappresenti per noi una vera e propria “chiamata alle armi”.
“Sono le 21,00 di venerdì 20 marzo e la curva epidemica da Covid19 non accenna a diminuire. Anzi, i contagi hanno sfondato quota 47 mila e i decessi sono 4.032.”
La situazione è drammatica, soprattutto al nord, e il sistema sanitario nazionale è allo stremo.
L’eroismo dei nostri medici e paramedici, l’impegno senza precedenti profuso dalle forze di polizia e forze armate, quello delle categorie produttive di beni di prima necessità, in uno con quello degli addetti ai settori logistici che ne assicurano la distribuzione, hanno finora evitato la paralisi del “sistema paese”.
Al contempo si affastellano decreti ed ordinanze di rango statale, regionale e comunale delle quali non è possibile dar conto stante la loro estrema volatilità, accompagnate da appelli e minacce, divieti e controlli.
In questo scenario da incubo riscontriamo che la stragrande maggioranza degli italiani ha ben compreso la necessità di rispettare le misure di profilassi espressamente previste e, seppur a fatica, ha stravolto la propria quotidianità pur di provare a contenere l’ulteriore sviluppo pandemico di questo virus.
Purtroppo, però, assistiamo allibiti ai comportamenti irresponsabili di una parte non trascurabile della popolazione, che continua a “ballare mentre il Titanic affonda.”
E lo fa nonostante i numerosi decreti emergenziali, che oramai si susseguono quasi quotidianamente per arginare questa “pestilenza 2.0”, vietino taluni comportamenti e prevedano sanzioni penali in caso di inosservanza di tali divieti.
Un dato su tutti dovrebbe farci riflettere: il numero delle persone denunciate è più del doppio rispetto a quelle contagiate.
Nonostante gli appelli di governo, presidenti di regione, sindaci, stakeholder, personaggi della cultura e dello spettacolo, la gente continua ad uscire di casa anche quando non ce n’è un effettivo bisogno.
Si guardano al microscopio le norme solo per trovare qualche utile escamotage per aggirarle e non ci si rende conto che, in questo modo, si attenta alla propria e all’altrui salute con effetti purtroppo mortali, si uccide la nostra economia e si mette a repentaglio il nostro “sistema paese” con effetti nefasti di lunga durata.
In questo scenario da incubo gli apparati statali tentano in ogni modo di arginare questa deriva antisociale.
Non sempre, però, in maniera sincrona ed omogenea.
Accade, quindi, che la Procura della Repubblica di Milano preannunci che ogni denuncia per “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”, a carico di coloro che vanno in giro senza un comprovato motivo, sarà valutata e punita con decreto penale di condanna, che resta come un precedente penale.
Di converso, invece, la Procura di Genova esprime forti perplessità sulla configurabilità di un qualche reato in caso di dichiarazioni non veritiere (art. 483 cp) o di autocertificazione fasulla (art. 495 cp).
Per non parlare delle finissime argomentazioni in punto di diritto da parte di giudici, costituzionalisti e professori di diritto.
E allora, in una congiuntura così drammatica per il nostro Paese, la soluzione va ricercata in un più pertinente perimetro normativo o nella responsabilità del singolo?
La risposta ci sembra evidente e non eludibile: ciascuno di noi fa e farà la differenza.
La domanda successiva è la seguente: sarà sufficiente fare affidamento solo sul senso di responsabilità dei singoli?
Certo che no.
Occorreranno quindi norme non solo più chiare ma anche sanzioni certe e afflittive.
Noi riteniamo, in questo ambito, che, fatto salvo l’art. 650 cp, vadano privilegiate le sanzioni amministrative in luogo di quelle penali.
In altre parole, noi riteniamo che ad un improbabile decreto penale di condanna sia da privilegiare una sanzione pecuniaria certa, accompagnata magari dal sequestro del veicolo utilizzato nel momento in cui viene contestata l’infrazione.
In questo secondo caso, a nostro avviso, prenderebbe maggiormente corpo l’effetto deterrente della sanzione e si supererebbero agevolmente le non poche, e talvolta condivisibili, perplessità di ordine tecnico-giuridico che mettono a repentaglio l’attuale impianto sanzionatorio.