L’autotutela del diritto alla sicurezza del lavoratore
Come noto il dovere di tutela di carattere preventivo nell’ambito del contratto di lavoro subordinato è regolato, in via generale, dall’art. 2087 del codice civile che, in combinato disposto con l’art. 1334 c.c. si traduce in un pregnante obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro.
Obbligo, quest’ultimo, dal quale discende un corrispondente diritto soggettivo del lavoratore ad essere impiegato in ambienti di lavoro sani ed esenti da rischi per la sua salute e sicurezza.
Il naturale corollario di tale sintetica premessa è rappresentato dal diritto del dipendente di astenersi dalla prestazione lavorativa senza per ciò dover rinunciare alla normale retribuzione o correre il rischio di essere sottoposto a procedimento disciplinare.
Tale comportamento, ovviamente in circostanze ben definite e che non siano contrarie alla buona fede del lavoratore, trova la sua legittimazione nella c.d. eccezione di inadempimento espressamente prevista dall’art. 1460 c.c.
Al riguardo è rinvenibile una corposa ed omogenea giurisprudenza di legittimità a partire dalla sentenza della suprema corte di cassazione del 9 maggio 2005, nr. 9576, relativa al licenziamento, ritenuto illegittimo, di un lavoratore che si era rifiutato di servirsi di un apposito container per la raccolta di materiale fisiologico ritenuto inagibile e pericoloso per la propria salute.
Significativa, poi, appare la precisazione a cui perviene l’alto consesso laddove statuisce che ai fini della legittimità del comportamento del lavoratore occorre valutare non solo i “fatti” ma anche l’elemento soggettivo, che potrebbe indurre in errore il lavoratore circa l’effettiva sussistenza di una situazione pregiudizievole per la propria salute e sicurezza di fatto idonea a giustificare il rifiuto di una prestazione.
Di grande interesse, poi, appare la sentenza Cass. 19 gennaio 2016 nr. 836 a carico della Fiat Group Automobiles S.p.A., a seguito dell’ennesima caduta di una portiera.
Nel caso di specie, alcuni dipendenti addetti all’assemblaggio delle portiere delle auto hanno citato in giudizio il datore di lavoro esponendo che, a causa della caduta di diverse portiere, si erano rifiutati di proseguire il lavoro sino a quando l’azienda non avesse messo in sicurezza l’impianto.
Dopo l’intervento della squadra di manutenzione avevano ripreso regolarmente l’attività di assemblaggio, ma l’azienda aveva ritenuto di dover decurtare dallo stipendio la quota di retribuzione corrispondente alla durata della sospensione del lavoro.
I lavoratori chiedevano quindi la condanna della società a rimborsare quanto era stato loro indebitamente trattenuto, ponendo a fondamento della loro azione ex art. 1460 c.c. l’inadempimento datoriale per violazione dell’art. 2087 c.c..
La Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi sulla questione, nel confermare la pronuncia di merito, ha precisato che “… ai sensi dell’art. 2087 c.c. è obbligo del datore di lavoro assicurare condizioni idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo in autotutela l’inadempimento altrui.
Inoltre, in questi casi, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, il lavoratore conserva il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore di lavoro (Cass. n. 6631 del 2015).”
I giudici della Suprema Corte, nel caso di specie, hanno rilevato come esista un obbligo in capo al datore di lavoro di garantire la tutela della salute psico-fisica dei propri dipendenti e collaboratori che ha la sua fonte direttamente nella legge, in particolare nell’articolo 2087 del Codice Civile (“Tutela delle condizioni di lavoro”) a norma del quale: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Nel caso in cui si prospetti la violazione di tale obbligo, che grava sul datore di lavoro, il lavoratore è legittimato a non eseguire la propria prestazione eccependo l’inadempimento e, al tempo stesso, mantiene il diritto alla retribuzione, in quanto al lavoratore non possono derivare conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore.
Pertanto, se il datore di lavoro non garantisce un ambiente di lavoro salubre e tale da non recar danno alla salute dei lavoratori, questi sono legittimati ad astenersi dall’eseguire le proprie mansioni e a ottenere comunque la retribuzione dovuta.
Ciò posto, costituisce consolidato principio di legittimità quello secondo cui la valutazione della gravità dell’inadempimento contrattuale è rimessa all’esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici e giuridici.
E nel caso in esame il giudice di secondo grado aveva correttamente rilevato che “la gravità di tale evento, in correlazione con gli obblighi di sicurezza e di prevenzione gravanti sul datore di lavoro, era desumibile dalla circostanza, riconosciuta dall’azienda medesima, che la caduta di una portiera avrebbe potuto provocare seri danni all’addetto che ne fosse stato investito.
Al riguardo appare utile sottolineare la stretta interdipendenza con le previsioni normative di cui all’art. 44 del d.lgs. 81/08 che consente esplicitamente al lavoratore di allontanarsi dal posto di lavoro ovvero da una zona ritenuta pericolosa <<.. in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato.>> senza subire pregiudizio né di natura disciplinare né tantomeno economica e, soprattutto, senza che sia necessariamente riscontrabile un qualsivoglia inadempimento da parte del datore di lavoro.
Tale ultima previsione, inoltre, va letta in combinato disposto con l’art. 18, comma 1 del d.lgs. 81/08 che impone al datore di lavoro di astenersi (salvo motivate eccezioni) dal richiedere al lavoratore di riprendere la sua attività lavorativa in caso di persistente pericolo grave e immediato.
Sotto il profilo della proporzionalità della reazione, poi, la sospensione della prestazione si era protratta per il tempo strettamente necessario per consentire l’intervento dei manutentori, dopo di che i lavoratori, rassicurati dall’intervento aziendale, avevano ripreso a lavorare”.
Ragion per cui ai lavoratori è stata restituita la quota parte di retribuzione illegittimamente decurtata in busta paga.