Sono più di 28mila i contagi da Covid-19 di origine professionale denunciati all’Inail tra la fine di febbraio e lo scorso 21 aprile.
Il 45,7% riguarda la categoria dei “tecnici della salute”, che comprende infermieri e fisioterapisti, seguita da quella degli operatori sociosanitari (18,9%), dei medici (14,2%), degli operatori socioassistenziali (6,2%) e del personale non qualificato nei servizi sanitari e di istruzione (4,6%).
A rilevarlo è il primo report dell’Istituto dedicato al fenomeno delle infezioni sul lavoro da Covid-19.
Come noto, la tutela infortunistica dell’INAIL è stata espressamente prevista dall’articolo 42, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, che stabilisce che nei casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.
Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da Coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro.
Al riguardo la circolare n. 13/2020 partendo dalle caratteristiche epidemiologiche del Covid19 che lo collocano in un contesto pandemico universale, ha fornito importanti chiarimenti sulla tutela delle malattie da Coronavirus ed ha previsto due fondamentali categorie di rischio professionale per il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro.
La prima e più diretta conseguenza di tale contesto pandemico è quella di rendere estremamente complicato stabilire con certezza se la malattia sia stata contratta nell’ambiente lavorativo o in quello socio/ familiare.
E ciò risulta ancora più vero nei territori maggiormente colpiti dall’epidemia.
Per l’individuazione del rischio assicurato, l’Inail ha adottato il criterio di ragionevolezza, connesso al principio di presunzione semplice, ed il criterio logico -scientifico, connesso ad un principio di presunzione qualificata.
In particolare, l’Inail ha distinto due fondamentali categorie di lavoratori.
Nella prima sono compresi i lavoratori esposti ad elevato rischio sanitario, quali gli operatori sanitari e poi tutti i lavoratori che si trovino a contatto col pubblico (quali ad esempio i lavoratori di front office, cassieri, banconisti, addetti alle pulizie in strutture sanitarie e via elencando).
Nella seconda categoria rientrano tutti gli altri lavoratori.
La circolare 13/2020 prevede, poi, che la prima categoria non sia considerata “chiusa” ed in essa rientrano anche tutti i lavoratori che, sulla base di concreti elementi di fatto, si trovino a contatto o con il virus (ad esempio lavoratori addetti alle pulizie) o con l’utenza (ad.es. i riders).
Per la prima categoria, poi, il rischio professionale viene individuato mediante l’applicazione del principio di presunzione semplice di origine professionale, tenuto conto dell’elevato rischio di contagio insito nella mansione espletata, mentre per la seconda categoria di lavoratori, allorché non sia possibile risalire all’episodio che ha determinato il contagio e non si possa presumere la correlazione tra attività prestata e contagio, vale invece il criterio scientifico medico-legale, generalmente accolto, che privilegia i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.
Tale configurazione di due distinte categorie di lavoratori ha importanti conseguenze anche sotto il profilo probatorio per la parte che dovesse agire in giudizio, in caso di mancato riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Ente.
Infatti, attraverso un’inversione dell’onere della prova, il lavoratore appartenente alla prima categoria dovrà provare il contagio del virus e l’adibizione, in concreto, a lavorazioni che rientrino nella categoria o che siano equiparabili ad esse, mentre l’Inail dovrà eventualmente produrre la prova rigorosa che il contagio sia avvenuto in un contesto extra lavorativo e quindi socio-familiare.
Nel caso di lavoratori appartenenti alla seconda categoria, invece, l’onere della prova resta a carico dell’istante che dovrà comunque allegare e provare fatti o circostanze che consentano di ritenere probabile che il virus sia stato contratto nell’ambiente di lavoro o durante il tragitto casa/lavoro.
Per i lavoratori rientranti nella seconda categoria, quindi, l’onere della prova è interamente a carico loro mentre all’Inail spetta o la controprova dei fatti allegati dal lavoratore oppure la prova dell’interruzione del nesso eziologico.
Si segnala, infine, che la citata circolare 13/2020 ha chiarito non solo che sono configurabili come infortunio in itinere anche le ipotesi in cui il contagio sia avvenuto nel tragitto casa/lavoro, ma che per tutta la durata del periodo di emergenza epidemiologica è ammessa la deroga all’art.13 d.lvo 38/2000 ed è pertanto considerato sempre necessitato l’utilizzo del mezzo proprio nello spostamento casa/ lavoro, tenuto conto del fatto che l’utilizzo del mezzo proprio risulta meno rischioso di quello pubblico.