Con la Sentenza N. 20774/2018 la Corte di Cassazione ha riconosciuto il mobbing come malattia professionale,
stabilendo che sono indennizzabili dall’Inail tutte le malattie, sia di natura fisica che psichica, anche se non sono comprese tra quelle tabellate.
Difatti, l’orientamento della Giurisprudenza e la normativa del Testo Unico in materia di lavoro sottolineano come, in alcuni casi, non può essere considerato e valutato solo il rischio specifico insito nello svolgimento dell’attività lavorativa, ma bensì il rischio specifico improprio ad essa collegato.
Il mobbing, inteso come un comportamento di tipo persecutorio e vessatorio protratto nel tempo nei confronti del lavoratore, non è la malattia, ma la causa.
Pertanto, il lavoratore vittima di mobbing dovrà dimostrare il nesso causale tra la lavorazione patogena e la malattia conseguente.
Purtroppo, ad oggi, è tutt’altro che semplice dimostrare di essere vittima di mobbing, e cioè dimostrare l’intento persecutorio del datore di lavoro, benché nel nostro ordinamento siano presenti diverse norme volte alla tutelare del lavoratore leso e rinvenibili ad esempio nella Costituzione, nel Codice civile o nello Statuto del lavoratori.