L’Impatto del Jobs Act sulla disciplina della Sicurezza sul lavoro: profili prevenzionistici e contrattuali.
di Maria Giovannone – Avvocato Giuslavorista
A dispetto del più ampio contenuto della legge delega, i decreti attuativi del Jobs Act hanno adottato due strumenti di intervento in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
In primo luogo quello della razionalizzazione e della semplificazione dell’attività istituzionale e delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese.
Su questo versante, i decreti legislativi n. 151 e n. 149 del 2015, oltre a ritoccare la composizione di alcuni organi del sistema istituzionale ed ampliare l’ambito soggettivo di azionabilità dell’interpello, hanno inciso su svariati profili: la messa a disposizione al datore di lavoro di nuovi strumenti tecnici e specialistici per la valutazione dei rischi; l’abolizione dell’obbligo di tenuta del registro degli infortuni, in vista della attesa istituzione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP); l’innalzamento delle sanzioni penali a carico del datore di lavoro per la violazione degli obblighi formativi; la rivisitazione delle regole sulla formazione dei coordinatori per la sicurezza nei cantieri; l’ampliamento del campo di applicazione soggettivo della disciplina, con l’introduzione di una più ampia nozione di “volontari”, quali soggetti già destinatari degli obblighi di tutela. Ben più significativa, sul versante istituzionale, è certamente l’istituzione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
La nuova normativa ha poi alleggerito gli adempimenti in materia di comunicazione di infortunio e di malattia professionale (di cui al DPR n. 1124 del 1965).
Dall’altra parte, nel ridefinire la disciplina delle tipologie contrattuali di lavoro, i decreti attuativi hanno inevitabilmente inciso, in modo più o meno diretto, sui rispettivi regimi prevenzionistici.
A tal riguardo, infatti, con il d.lgs. n. 151/2015 è stata modificata la regolamentazione del lavoro occasionale e si è chiarito come la intera normativa di salute e sicurezza trovi attuazione unicamente ove il committente sia un imprenditore o un professionista; diversamente se il committente è un privato, si applicano unicamente le disposizioni sui lavoratori autonomi. Esiste, poi, un’area di totale esenzione dall’applicazione del d.lgs. n. 81/2008, per taluni lavori specificamente indicati normativamente (es.: insegnamento privato).
Quanto al lavoro a termine, da un lato, è stato confermato – come per la somministrazione ed il lavoro intermittente – il divieto di stipulazione del contratto a tempo determinato, con riferimento a quei datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. La violazione del divieto in questione è sanzionata con la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. Vi è stata poi la condivisibile sostituzione – quali destinatari dell’obbligo di valutazione dei rischi – delle “imprese” con i “datori di lavoro”, coerentemente con l’applicazione generalizzata del d.lgs. n. 81/2008, e degli adempimenti ivi sanciti, ad ogni organizzazione, quantunque non imprenditoriale e scarsamente strutturata.
È scomparsa invece quella previsione per cui il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato debba ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro, poiché già ampiamente assorbita dalle norme del Testo Unico.
In tema di somministrazione di lavoro, poi, particolarmente interessanti sono le previsioni circa la forma del contratto e la ripartizione degli obblighi formativi e informativi tra agenzia ed impresa utilizzatrice. Sul primo punto, si prevede infatti che il contratto di somministrazione non solo debba essere stipulato in forma scritta ma debba contenere, tra l’altro, l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate.
Quanto agli obblighi nei confronti dei lavoratori, invece, si statuisce che il somministratore debba informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive, oltre che formarli e addestrarli all’uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa, per la quale essi vengono assunti. Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall’utilizzatore. L’utilizzatore è tenuto altresì ad osservare, nei confronti dei lavoratori somministrati, i medesimi obblighi di prevenzione e protezione previsti – per legge e per contratto collettivo – nei confronti dei propri dipendenti.
È stata poi abolita la previsione secondo cui l’utilizzatore fosse tenuto ad informare il lavoratore, nel caso in cui le sue mansioni richiedessero una sorveglianza medica speciale o comportassero rischi specifici. Altrettanto abrogata è la previsione che imponeva al somministratore, per andare esente da culpa in eligendo, un comportamento diligente consistente nella verifica del reale adempimento, ad opera della controparte contrattuale, della valutazione dei rischi, quanto meno per presa visione del relativo documento.
In materia di associazione in partecipazione, invece, non si assiste ad un intervento diretto sulla normativa prevenzionistica, considerata la ridefinizione della fattispecie posta a monte della sua applicazione, tramite la modifica dell’art. 2549 c.c. Lo stesso può dirsi per il lavoro parasubordinato, posto che la normativa prevenzionistica continua ad operare nei confronti delle sole collaborazioni continuative, ex art. 2222 c.c. e art. 409 c.p.c., ma non per quelle a progetto definitivamente espunte dall’ordinamento.
In questo contesto, la semplificazione del quadro legale e degli adempimenti inutilmente gravosi, non può dirsi del tutto compiuta, come dimostrano i recenti disegni di legge sul “lavoro agile” ([1]) e sul miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori, per il riordino e la semplificazione del Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro ([2]).
È possibile pertanto individuare ulteriori prospettive di integrazione, riordino e razionalizzazione della normativa; profili su cui il Jobs Act pare essere intervenuto troppo timidamente, pur nella insuperabile cornice emergenziale che allo stesso faceva da sfondo.
Anche il Jobs Act può considerarsi una occasione in parte perduta per tentare, come suggerito dalle migliori esperienze internazionali e comparate, di transitare definitivamente, anche attraverso l’introduzione di robusti incentivi normativi, da una gestione della sicurezza sul lavoro finalizzata alla pedissequa applicazione del precetto formale ad un assai più moderno e sostanziale volto a integrare obiettivi e politiche per la salute e sicurezza in tutti gli aspetti organizzativi (strutturali, operativi ed esecutivi) e gestionali del lavoro. In definitiva anche il Jobs Act non è riuscito ad affiancare obiettivi di semplificazione e razionalizzazione a quello di completamento del relativo quadro normativo.
Nello specifico un ruolo cruciale, nell’ottica della semplificazione, può essere svolto dalla formazione per la sicurezza che, sebbene opportunamente riformulata dagli accordi Stato-Regioni del 2011 e del 2016, presenta ancora eccessivi formalismi burocratici che per nulla giovano alla effettiva capacità di modificare positivamente i comportamenti delle persone. Invero, la formazione è percepita dai datori di lavoro come un gravoso costo e dai lavoratori come un mero adempimento formale, inadeguato a far acquisire e conservare gli insegnamenti proposti.
Inoltre, questioni rilevanti sono relative al numero delle ore e ad altri specifici contenuti – ancora insufficienti per alcuni settori o tipologie di rischio – o alla professionalità dei soggetti erogatori di attività formative, nonché alle metodologie didattiche impiegate.
Nella medesima logica si inscrive poi la necessità di riaprire i lavori per l’attuazione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi (art. 27 del d.lgs. n. 81/2008) che è rimasta inattuata per settori ad alto tasso infortunistico, caratterizzati da forti complessità organizzative e gravi fenomeni di concorrenza sleale. Uniche eccezioni: gli ambienti confinati, su cui è intervenuto positivamente il DPR n. 177/2011, e il settore della sanificazione del tessile in cui la contrattazione collettiva ha anticipato, in via volontaria, la messa a regime degli strumenti legali.
Tra i temi rimasti sulla carta, emerge anche quello relativo all’attuazione dell’articolo 52 del Testo Unico, a sostegno della pariteticità. Una norma chiave, ove si consideri il ruolo strategico della pariteticità, quale fondamentale strumento per conferire, attraverso gli accordi interconfederali sottoscritti dalle organizzazioni nazionali più rappresentative, valore aggiunto alle politiche di prevenzione, specie nelle Piccole, Medie e Micro Imprese.
Con l’obiettivo di impostare gradualmente un sistema dinamico in grado di rispondere efficacemente alle esigenze di conoscenza e di programmazione, pianificazione e valutazione dell’efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori, si pone anche il recente d.m. n. 183 del 25 maggio 2016 (pubblicato in G.U. il 27 settembre 2016) che finalmente detta le regole di funzionamento del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP).
Il provvedimento riveste una importanza metodologica strategica, poiché funzionale ad una raccolta selettiva di flussi informativi completi e dettagliati, al fine di migliorare la razionalità e l’efficienza delle attività di vigilanza su tutto il territorio nazionale.
([1]) Cfr. Il DDL n. 2233 recante Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
([2]) Cfr. il DDL n. 2489 recante Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori.