La recente partecipazione al dibattito sull’evoluzione del sistema della vigilanza privata, in occasione del “Compliance Days 2016”, mi offre l’opportunità di condividere alcune riflessioni sul tema della prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali per i dipendenti degli istituti di vigilanza.
Soprattutto negli ultimi anni il settore della vigilanza privata ha subito una lenta e progressiva evoluzione sia sotto il profilo sociale che regolamentare. La crescente esigenza di sicurezza amplificata da cruenti fatti di cronaca e più in generale dal pericolo attentati di natura terroristica; ed ancora la progressiva cessione di compiti da parte delle forze di polizia istituzionali, sottoposte ad una profonda e discutibile “spending review” che ha visto la soppressione del Corpo Forestale dello Stato, hanno offerto al sistema della vigilanza privata l’opportunità di presentarsi al “grande pubblico” coma un forza di polizia sussidiaria, affidabile e professionale.
Non tutto è fatto e le sfide da superare sono ancora molte, ma il cammino è comunque avviato. Un grande contributo alla causa è stato certamente offerto dalla Corte di Giustizia Europea che ha costretto il legislatore italiano a svecchiare la normativa previgente, improntando il settore a principi di libertà di concorrenza ma soprattutto fissando requisiti minimi indispensabili per poter svolgere l’attività di vigilanza privata e regolamentando gli aspetti del lavoro svolto dagli istituti di vigilanza.
La materia, già innovata dal DPR n.153 del 4 agosto 2008, ha visto l’emanazione di specifici decreti ministeriali, primo tra tutti il n.259 del 1 dicembre 2010.
Di particolare interesse, per le finalità di questa riflessione, appare la disposizione contenuta nel punto 3.3 dell’allegato A del decreto ministeriale intitolato “requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza”, con cui si fissa l’obbligo per l’impresa di dimostrare il rispetto di una serie di requisiti e tra questi “gli obblighi derivanti dall’applicazione del contratto collettivo nazionale di categoria e della contrattazione territoriale di secondo livello “.
La centralità del CCNL è richiamata nel medesimo Allegato A, quando al fine di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza, si decreta che l’azienda deva avere come parametro di riferimento “le tabelle del costo del lavoro delle guardie particolari giurate sulla base della determinazione degli oneri derivanti dall’applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria e degli integrativi territoriali, fissate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali“. Così come nell’allegato D è espressamente previsto che il titolare dell’Istituto di vigilanza deva “impiegare le guardie giurate esclusivamente nei servizi per i quali l’istituto è autorizzato, previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti di istituti di vigilanza privata”.
Dalla lettura delle norme richiamate, emerge come il legislatore abbia voluto anzitutto indicare il CCNL di riferimento per tutti gli operatori del settore, individuato esclusivamente nel CCNL per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata, effettuando in tal modo un collegamento inscindibile con l’attività svolta dal singolo lavoratore e non con il contesto in cui essa si esercita.
Così ad esempio, la guardia giurata che svolge attività di vigilanza presso una cooperativa di pulizie dovrà essere soggetta al CCNL della vigilanza privata e non al più sfavorevole CCNL delle cooperative di servizi, né potrà essere impiegato in servizi ultronei rispetto quelli contrattualmente previsti (Vigilanza privata, aspetto giuslavoristici del nuovo DM sulla capacità tecnica – Matteo Ariano – Dpl Venezia)
Per propria natura il CCNL del settore della vigilanza privata presenta diverse forme di lavoro e tipologie di orario, caratterizzate da forti elementi di flessibilità ed imprevedibilità determinati dalle contingenti esigenze dell’utente, oltre che qualificate forme di retribuzione incentivanti la produttività e la compensazione del basso salario. Questa organizzazione del lavoro non può che avere evidenti ricadute di carattere prevenzionale dovendosi, nella valutazione dei rischi, tener conto della specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
Ciò malgrado, in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali i CCNL di lavoro di riferimento, sembrano mostrare un basso interesse sugli effetti, soprattutto di carattere psicosociale, che tale attività determina nei confronti dei lavoratori, troppo spesso al centro di cruenti fatti di cronaca: sindrome da stress correlata; sindrome da Burnout, patologia da mobbing correlata, ecc.
Nella stesura del testo, le parti pur richiamando più volte il processo di cambiamento intervenuto negli ultimi anni, si concentrano esclusivamente su aspetti economici ed organizzativi di settore, dedicando alla sicurezza sul lavoro poche righe in cui “viene confermata la centralità del CCNL in merito alle soluzioni che verranno individuate ed alle metodologie riguardanti le relazioni sindacali previste negli accordi applicativi del Decreto Legislativo 81/08. Ai sensi degli articoli specifici del decreto legislativo 81/2008 all’ente bilaterale viene assegnato il compito di orientare e promuovere iniziative informative e formative nei confronti dei lavoratori.”
Dal loro canto gli enti bilaterali, sembrano mostrare interesse prevalente nei confronti delle materie tipiche dell’attività degli enti, di cui alla legge 14 febbraio 2003 n.30 s.m.i., trascurando invece i compiti propri degli organismi paritetici, previsti all’art.51 del D.lgs. 9 aprile 2008 n.81, e comunque limitandosi a realizzare e pubblicare materiale informativo.
L’osservazione delle informazioni fornite non consente di dare alcuna rilevanza oggettiva all’attività dell’ente in quanto organismo paritetico, così come non viene proposta alcuna relazione sull’analisi dei fabbisogni formativi in funzione dell’andamento infortunistico e all’incidenza delle malattie professionali in relazione agli specifici compiti svolti dagli operatori.
Concludendo, quello della vigilanza privata si presenta come un settore in piena fase evolutiva che però risente molto degli andamenti economici del mercato e della forte concorrenza tra istituti, elementi che possono indurre a sottovalutare i corretti adempimenti in materia di valutazione dei rischi per i lavoratori e l’individuazione di idonee e complete misure di prevenzione e protezione di infortuni e malattie professionali